Pagina dedicata agli Atti del Convegno di presentazione del Manifesto della chimica verde
Per un giusto riconoscimento e per la crescita della CHIMICA VERDE

Lo sviluppo del settore della Chimica Verde è un’opportunità per il rilancio dell’economia nel nostro Paese così come nel resto del Mondo. In Italia vi sono riconosciute punte di eccellenza. Numerosi documenti strategici prodotti da organizzazioni internazionali e istituzioni europee considerano la “bioeconomia” un settore con enormi potenzialità di sviluppo. Entro il 2030, grazie all’ulteriore sviluppo della bioeconomia, basata sull’impiego di prodotti e processi rinnovabili a partire da matrici vegetali di produzione agricola, è prevedibile l’arrivo sul mercato di una nuova generazione di prodotti e composti chimici rinnovabili e sostenibili: bioplastiche, biolubrificanti, solventi, detergenti, cosmetici e prodotti per la salute, mezzi tecnici per l’agricoltura, vernici, imballaggi, fino a prodotti speciali per l’industria come la componentistica e i fluidi speciali per l’industria.

L’associazione Chimica Verde Bionet, sulla linea del pensiero di Luigi Einaudi “Conoscere per Deliberare”, ha elaborato alcuni CRITERI essenziali per un concreto sviluppo della Chimica Verde in modo da promuoverne la crescita in Italia, sulla base di principi di sostenibilità, perfezionati dal mondo della ricerca e da esperti del settore. Per raggiungere questo obiettivo, l’associazione lancia il “Manifesto della Chimica Verde” che, una volta sottoscritto, verrà divulgato in tutta Italia ed inviato a tutti i decisori politici istituzionali al fine di far loro conoscere e capire le grandi opportunità che il comparto della Chimica Verde può rappresentare per il settore agricolo, agroindustriale chimico e manifatturiero oltre che stimolare l’adozione delle necessarie misure per favorirne lo sviluppo.

La proposta di Chimica Verde Bionet parte da un’analisi SWOT e dalle previsioni economiche per il settore sul mercato europeo al 2020 e 2030. Il lavoro ha evidenziato come il comparto possa contribuire significativamente anche allo Sviluppo Sostenibile delle zone rurali, offrendo importanti opportunità a partire da un’agricoltura innovativa e multifunzionale che crei nuove opportunità di reddito e importanti vantaggi ambientali e sociali. La Chimica Verde, infatti, se correttamente e coerentemente normata, può permettere sia lo sviluppo di grandi realtà industriali che la nascita di un tessuto di piccole e medie imprese innovative organizzate in una rete di filiere formate da ricercatori, agricoltori, trasformatori, formulatori, in grado di valorizzare i bioprodotti nel loro intero ciclo di vita.

Devono pertanto essere promossi nuovi modelli di Sviluppo Sostenibile sia dal punto di vista ambientale che economico e sociale quali sono quelli rappresentati dalle bioraffinerie integrate nei territori come già riscontrato da alcune importanti realtà industriali nel Paese.

SOFIA MANNELLI
Presidente
Ass. Chimica Verde Bionet
I cinque punti fondamentali
  1. La prima bioraffineria è la pianta e la CHIMICA VERDE è un’opportunità da coltivare
  2. I bioprodotti e i processi correlati necessitano di criteri di sostenibilità che definiscano Rinnovabilità, Biodegradabilità, Tracciabilità e minima Tossicità per l’Uomo e l’Ambiente
  3. La Ricerca Scientifica, l’Innovazione Tecnologica, la Produzione e il Consumo di bioprodotti richiedono l’introduzione e l’applicazione di una adeguata normativa, non discriminatoria nei confronti di alcuna filiera
  4. La CHIMICA VERDE deve essere adeguatamente regolamentata attraverso un percorso condiviso con i portatori di interesse
  5. Un piano di Comunicazione, Trasferimento e Formazione pluriennale deve essere elaborato e condiviso con le Amministrazioni Regionali e gli altri Enti competenti ad esso predisposti
Le motivazioni

1. La prima bioraffineria è la pianta e la Chimica Verde è un’opportunità da coltivare.

Motivazioni: Questo motto intende affermare lo stretto legame tra l’approvvigionamento di biomasse e l’agricoltura che le produce. La Chimica Verde diviene un’opportunità solo quando prevede uno stretto legame col territorio su cui insiste, realizzando un miglioramento sociale e ambientale dell’area stessa che origini da un’agricoltura sostenibile, con input ridotti e che determini un incremento della fertilità dei suoli aumentandone la biodiversità attraverso l’integrazione con l’agricoltura alimentare e la valorizzazione di terreni marginali non adatti alla produzione di cibo, purché non vengano depauperate le riserve di carbonio.

La bioraffineria, in molte sue applicazioni, prevede di utilizzare colture dedicate vocate e per questo deve essere dimensionata sulla capacità produttiva del territorio, e va impostata in base a criteri di valutazione specifici a seconda che preveda l’uso di materie prime di origine agricola, sottoprodotti o rifiuti. Le piante hanno la migliore efficienza nell’uso della radiazione solare per produrre un’infinità di composti di estremo interesse per la chimica, non c’è tuttavia peggior errore di considerare la loro biomassa alla stregua di biomassa indifferenziata, non considerando ‒ a fini speculativi ‒ cosa comporta la loro produzione in termini di opportunità di miglioramento della sostenibilità agricola e dello sviluppo sociale. L’agricoltura vive una crisi strutturale con conseguenze negative sulla gestione degli agro-ecosistemi fino all’abbandono dei terreni agricoli. In questo scenario la diversificazione colturale mediante l’introduzione di nuove colture e/o la valorizzazione delle colture tradizionali e dei diversi coprodotti per nuovi di processi tipici di una bioraffineria offre nuove opportunità, tra cui la possibilità di avvicendare le colture e ridurre i periodi in cui il suolo rimane “nudo” con conseguente perdita di nutrienti e carbonio che inevitabilmente aumentano l’inquinamento, l’eutrofizzazione e il riscaldamento globale.

Il mancato utilizzo delle diverse componenti della pianta per produrre composti chimici è anche dovuto ai costi eccessivi in virtù delle basse rese di processo, per questo l’approccio di bioraffineria prevede che non si possa prescindere dai coprodotti e dagli scarti generati dal processo e che solo dopo una loro valorizzazione chimica/biotecnologica ed economica possano essere sfruttati per produrre energia.

2. I bioprodotti e i processi correlati necessitano di criteri di sostenibilità che definiscano Rinnovabilità, Biodegradabilità, Tracciabilità e minima Tossicità per l’Uomo e l’Ambiente

Motivazioni: La Chimica Verde deve promuovere e privilegiare l’interazione e l’integrazione tra le varie filiere che costituiscono il ciclo vitale dei beni: agricoltura, chimica di base, trasformazione industriale, distribuzione del prodotto finito, recupero, valorizzazione del rifiuto fino all’immissione in ambiente di materia capace di restituire quel nutrimento al suolo che è indispensabile per la vita del Pianeta.

Siamo in una fase storica nella quale vi è un interesse peculiare verso la Chimica Verde e quei prodotti industriali non alimentari le cui materie prime hanno origine vegetale o animale (biobased products). Vi è, infatti, una maggiore considerazione dei consumatori nei Paesi industrializzati e maturi verso l’uso di prodotti o componenti ottenuti da risorse rinnovabili così come si riscontra un’attenzione di multinazionali e grandi imprese nell’utilizzare sempre più componenti naturali o comunque a ridotto impatto ambientale.

Infine con le recenti Comunicazioni della Commissione Europea, è stata recepita la volontà comunitaria di svolgere un ruolo di avanguardia della bioeconomia. Il maggior problema per lo sviluppo del settore, oltre alle difficoltà derivanti dagli iter burocratici/amministrativi per la realizzazione degli impianti, è dato dalla mancanza di criteri certi (riportati da normativa vigente) che definiscano il bioprodotto “sostenibile”. Tale carenza determina confusione nei consumatori, il moltiplicarsi in etichetta di affermazioni potenzialmente ingannevoli e preoccupazione nei produttori virtuosi che rischiano di subire gravi danni economici qualora arrivi sul mercato un prodotto contraffatto. Una certificazione, anche di tipo volontario, ma rilasciata da un ente terzo che aiuti il consumatore e le imprese produttrici ad individuare valori comprensibili e condivisi dal mondo della ricerca, favorirebbe anche una maggiore trasparenza nei grandi gruppi che intendono promuovere sul mercato prodotti naturali realmente sostenibili oltre che indirizzare i consumatori verso un acquisto garantito.

In Europa, l’incarico di definire gli standard è stato demandato al CEN (Comitato Europeo di Normalizzazione) e a 4 Comitati Tecnici in particolare: CEN/TC 19 (carburanti, lubrificanti e derivati di origine petrolifera, sintetica o biologica), CEN/TC 249 (plastiche), CEN/TC 276 (tensioattivi), CEN/TC 411 (bbp) creato in maggio 2011. Nello specifico si ritiene necessario individuare soglie specifiche misurabili (o comunque non ambigue) per ogni filiera, aggiornabili e basate sulle migliori conoscenze ed esperienze disponibili (BAT) al di sotto delle quali
un bioprodotto non potrà definirsi un “bioprodotto da Chimica Verde sostenibile”. Tali soglie dovrebbero riguardare: la percentuale di carbonio rinnovabile, le componenti tossiche, il destino ambientale dopo il consumo, nonché includere un’analisi di sistema che determini i vantaggi e/o i limiti di una bioraffineria legata al territorio, rispetto a materiali provenienti dal mercato globale. Tra i criteri di sostenibilità, dovrebbe essere considerata anche l’eventuale interferenza con la perdita o l’incremento di biodiversità. Per ogni bioprodotto dovrà essere anche definita la procedura per la tracciabilità e la rintracciabilità lungo l’intero ciclo di vita/filiera.

3. La Ricerca Scientifica, l’Innovazione Tecnologica, la produzione e il consumo di bioprodotti richiedono l’introduzione e l’applicazione di una adeguata normativa, non discriminatoria nei confronti di alcuna filiera

Motivazioni:La graduale sostituzione dei prodotti di origine fossile con prodotti rinnovabili di origine vegetale è un processo complesso che richiede una visione strategica di lungo periodo. La Commissione Europea ha redatto dal 2007 ad oggi diverse Comunicazioni inerenti la bioeconomia ed i bioprodotti, (Mercati guida: un’iniziativa per l’Europa -2007; Una Bioeconomia per l’Europa -2012, Un’industria europea più forte per la crescita e la ripresa economica -2012 Proposta di Regolamento del Consiglio sull’impresa comune Bioindustrie – 2013 ). La Commissione sostiene che l’Europa deve invertire la tendenza ‒ in atto nel XXI secolo ‒ al declino del ruolo della sua industria dovuto essenzialmente ala crescente concorrenza di Paesi emergenti ; solo in questo modo potrà conoscere una crescita sostenibile, creare posti di lavoro di elevato valore e risolvere i problemi sociali con cui si deve confrontare. Per far questo è necessaria una visione ampia, incentrata sugli investimenti e sull’innovazione, ma che sappia anche utilizzare, a beneficio della competitività delle imprese europee, tutti gli strumenti esistenti a livello di UE: il mercato unico, la politica commerciale, la politica a favore delle PMI, la politica della concorrenza, la politica ambientale e della ricerca. Tra i pilastri individuati dalla nuova strategia la Commissione propone di concentrare gli investimenti e l’innovazione su sei linee d’azione prioritarie ed una di queste prevede lo sviluppo dei bioprodotti. Ma i bioprodotti, per potersi sviluppare e affermare nell’uso quotidiano, necessitano di normative adeguate che contengano le corrette definizioni del campo di applicazione.

In Italia l’unica norma ad oggi promulgata, il DM bioraffinerie firmato il 10 ottobre 2013, è un provvedimento che prevede essenzialmente di snellire gli iter autorizzativi per gli impianti di produzione di biocarburanti, mentre riguarda solo marginalmente i biomateriali ottenuti dalla Chimica Verde. Serve invece una normativa “non discriminatoria” che promuova lo sviluppo innovativo ed il trasferimento di conoscenze dell’intero settore.

Una prerogativa delle politiche di sviluppo dovrebbe infatti sostenere adeguatamente il tessuto tipicamente italiano di piccole e medie imprese altamente qualificate; esso è il più indicato per recepire questa proposta: per la maggiore flessibilità del processo produttivo, per la maggiore possibilità di legami con la produzione agricola e la prima trasformazione. Inoltre, per la tutela di produttori e consumatori, occorre una regola generale condivisa tra Ministeri competenti e Regioni che identifichi e promuova il “bioprodotto sostenibile” lungo tutta la filiera. I produttori del settore non chiedono incentivi specifici che siano a carico dello Stato o dei cittadini, ma un riconoscimento del valore sociale ed ambientale dell’innovazione che viene immessa sul mercato quali ad esempio una riduzione dell’IVA, una detassazione sugli utili reinvestiti in ricerca scientifica, l’inserimento dei bioprodotti negli acquisti verdi della pubblica amministrazione, una semplificazione condivisa con le Regioni dei processi autorizzativi. Si rende quindi necessario anche nel nostro Paese, parimenti a quanto avviene in altri Paesi Europei di investire in azioni di ricerca e sviluppo con un approccio integrale e multidisciplinare che veda il coinvolgimento del mondo dell’università, dell’industria, delle piccole e medie imprese e di altri soggetti interessati, in grado di identificare prodotti e processi innovativi e garantirne una produzione continua nel tempo e improntata a criteri di sostenibilità e competitività.

4. La CHIMICA VERDE deve essere adeguatamente regolamentata attraverso un percorso condiviso con i portatori di interesse

Motivazioni: La Chimica Verde non è e non deve mai essere un’attenuante per realizzare ciò che nel settore alimentare è vietato o considerato non sostenibile. Non deve essere inoltre sostenuta una produzione agricola intensiva con elevati input di coltivazione e supportata da energia sussidiaria non rinnovabile, con avvicendamenti colturali molto semplificati fino alla monocoltura. Requisiti essenziali affinché le colture dedicate alla Chimica Verde risultino realmente ecocompatibili sono: la loro applicazione su piani di rotazioni poliennali (inserendole possibilmente come colture intercalari o coltivazioni autunno-vernine) e la scelta di specie particolarmente vocate al territorio, coltivabili con tecniche che necessitino di ridotti input chimici e idrici e da cui si possano ricavare diversi prodotti con un utilizzo integrale della coltura. Quando si interviene su colture forestali è necessario che tali risorse siano amministrate con una gestione forestale responsabile (ad es. tramite sistemi di certificazione tipo FSC o PEFC) che tuteli l’ambiente naturale, porti vantaggi reali a popolazione, comunità locali, operatori ed assicurare efficienza in termini economici.

Come materie prime non devono essere considerate soltanto l’agricoltura e le risorse forestali, ma anche gli scarti del settore agricolo, agroalimentare forestale. I processi produttivi dovrebbero essere il più possibile integrati reinserendo gli scarti in altri processi produttivi, costituendo una rete di filiere così come avviene in qualsiasi catena trofica. Le bioraffinerie dovrebbero, quindi, utilizzare processi industriali a cascata, organizzati su singole o molteplici biomasse come matrici in ingresso, da cui ottenere prodotti con il valore aggiunto più alto possibile, ricavando energia dai materiali a fine vita, ed applicando il concetto di “rifiuti zero” e l’uso efficiente delle risorse. Per fare questo è necessario coinvolgere i vari soggetti che operano nel settore della Chimica Verde, tenendo in particolare considerazione le esigenze di ricerca tipiche di una dottrina così innovativa e interdisciplinare.

I sottoscrittori del manifesto richiedono ai decisori politici: la costituzione di un tavolo di lavoro composto dai Ministeri competenti, dalle Regioni e dai portatori di interesse che promuova le linee guida per lo sviluppo di una strategia governativa.

5. Un piano di Comunicazione, Trasferimento e Formazione pluriennale deve essere elaborato e condiviso con le Amministrazioni Regionali e gli altri Enti competenti

Motivazioni: Affinché il settore possa svilupparsi correttamente, occorre che la Chimica Verde venga conosciuta, compresa e condivisa non solo dal legislatore ma anche dall’opinione pubblica. Il settore è particolarmente innovativo e come tale non è privo di rischi di speculazioni e false promesse. Occorre la consapevolezza che gli obiettivi non possono che essere ottenuti per gradi e che le scelte possono risultare errate o non completamente corrette, anche in buona fede.

Solo una approfondita e trasparente conoscenza dei vantaggi e degli svantaggi che può portare la Chimica Verde in termini di sviluppo può consentire ai consumatori di operare le scelte più corrette possibili e alle popolazioni di accettare la presenza nel territorio di nuovi impianti. Le questioni NIMBY (not in my back yard) che nascono sui territori quando si promuovono progetti innovativi, spesso per ignoranza e/o paura di non essere sufficientemente tutelati dagli enti preposti ai controlli, devono essere risolte con il dialogo, la trasparenza e l’informazione. Per saper individuare le speculazioni e il cosiddetto “green washing” a cui mirano in particolare le aziende più inquinanti, serve la conoscenza dei percorsi virtuosi che si generano nella Chimica Verde ed è necessario conoscere le reali opportunità per i territori su cui si sviluppano le bioraffinerie.

Una bioraffineria, se ben integrata nel territorio dove insiste, difende l’agricoltura della zona, porta reddito, occupazione e garantisce protezione all’ambiente. Viceversa è opportuno che anche chi progetta e realizza bioraffinerie sul territorio conosca le istanze e le peculiarità sociali e ambientali di quel territorio.

Risulta infine necessario definire un programma di formazione professionale per i funzionari delle Pubbliche Amministrazioni che dovranno lavorare al rilascio delle autorizzazioni e delle certificazioni. I tempi tecnici degli iter devono infatti essere rispettati per non inibire la spinta propulsiva e la volontà positiva degli investitori e degli operatori. Obiettivo che si potrà attuare solo con una piena conoscenza del settore e degli impianti per i quali vengono richieste le autorizzazione nonché dei prodotti per i quali si rilascia certificazione.

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