Introduzione ai Fitofarmaci di origine vegetale
Estratto dalla Relazione introduttiva del  Progetto Activa promosso e finanziato da ARSIA Toscana e coordinato da Legambiente. A cura di Luca Lazzeri e Lorenzo D’Avino, CRA- ISCI Bologna

L’interesse nel valutare nuove tecniche a ridotto impatto ambientale nella difesa delle colture  agrarie è un’emergenza ambientale molto sentita dalle amministrazioni locali e dalla pubblica opinione, ed anche in questo settore le molecole di origine vegetale possono rappresentare una possibile risposta ad elevata ecocompatibilità.

Le molecole naturali, infatti, sono come noto biodegradabili, rinnovabili e nella maggioranza dei casi ipotossiche nei confronti dell’uomo e una sostituzione di molecole di sintesi con prodotti con queste caratteristiche, oltre che agli attesi benefici ambientali ed igienico-sanitari, potrebbe consentire anche importanti ricadute sociali in quanto l’agricoltore stesso potrebbe diventare non solo utilizzatore, ma anche produttore dei principi attivi necessari per la difesa delle proprie colture, ritagliandosi un guadagno (o un risparmio) economico che oggi è ad esclusivo appannaggio della grande industria dei fitofarmaci.

Uno degli obiettivi è pertanto quello di analizzare le conoscenze e le potenzialità delle molecole vegetali nella difesa delle colture agrarie, e di individuare nuovi sbocchi per l’agricoltura.

In questo contesto sono state evidenziate due strategie possibili:

A) La coltivazione di piante miglioratrici, bioattive, non solo determina una maggiore varietà nelle rotazioni con incremento della biodiversità aziendale, ma consente con il loro sovescio di incrementare il tenore in sostanza organica nel suolo e contemporaneamente di apportare al terreno molecole biocide allelopatiche nel controllo di alcuni patogeni.

Scopo principale è di migliorare la fertilità chimica e biologica dei terreni al fine di accrescere le difese intrinseche del sistema agricolo e conseguentemente diminuire, nel tempo, la necessità di interventi per il controllo dei patogeni. In questo caso la filiera è quindi molto corta ed è opportuno utilizzare piante adatte ai nostri climi, in grado di produrre in tempi relativamente ristretti buone quantità di biomassa e la cui coltivazione richieda il minore impatto possibile sull’agroecosistema.

La tecnica dei sovesci è una pratica tradizionale nella nostra coltura contadina, ma oggi possono essere utilizzate essenze diverse da quelle convenzionali (favino, orzo, lupino ecc.) con accresciute potenzialità nel migliorare fertilità e autoimmunità dell’agroecosistema. Tra queste è compresa la viola che libera acido metilsalicilico, la ruta, la Facelia e, più recentemente, numerose sperimentazioni hanno riguardato l’utilizzo di Brassicaceae (Juncea, Rucola, rafano ecc) che al momento dell’interramento liberano nel suolo isotiocianati  e di sorgo (Sudangrass) che contiene composti cianogenici quali l’acido prussico.

B) La coltivazione di piante come fonte di principi attivi che, trasformati in formulati dall’industria agrochimica, ritornano al mondo agricolo che li utilizza in alternativa ai tradizionali fitofarmaci di sintesi. Di questa categoria fanno parte piante coltivate per produrre estratti, infusi, oli essenziali, farine o simili, ivi compresa un’ampia gamma di essenze che però non sono coltivabili nelle condizioni climatiche italiane (quali l’olio di Neem, la Teofrasia, il Chrysantemum da cui si estrae il piretro, la Quassia, il Picrosma, la Ryania, le leguminose tropicali da cui si estrae il rotenone). Non sono state considerate nemmeno le molecole sintetizzate sulla base della formula chimica delle molecole naturali (come è avvenuto per il Callisto brevettato da Syngenta con potere erbicida e in generale per i principi attivi scoperti in Amazzonia e riprodotti per via sintetica). Alcune esperienze applicative sono in corso utilizzando farine di semi di Brassica carinata, e preparati a base di aglio e cipolla, peperoncino o nicotina.

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