Come documentano numerosi studi scientifici, l’industria tessile ha utilizzato in tempi recenti, e tuttora utilizza largamente, prodotti che hanno un’azione allergizzante (Francalanci, 2002). Secondo alcune recenti ricerche (Francalanci, 2002; Seidenari e Giusti, 2002) l’allergia non è imputabile alle fibre tessili in sé, ma ai prodotti usati per il trattamento e il finissaggio delle stesse, e in primo luogo i co-loranti e le resine apprettanti. E’ ormai dimostrato, infatti, che i “coloranti dispersi” (chiamati così perché utilizzati nella tecnica di tintura delle fibre detta “per dispersione”) sono i principali responsabili della dermatite allergica da contatto.

Oltre agli aspetti salutistici anche gli aspetti ambientali legati all’uso dei coloranti di sintesi stanno assumendo un’attenzione crescente da parte dei diversi soggetti coinvolti nella filiera. Molti distretti tessili sono infatti caratterizzati da un elevato carico inquinante, e l’uso spesso indiscriminato di coloranti di sintesi, nonché di altre sostanze chimiche impiegate nella fase della tintura e del finissaggio, comporta non pochi problemi di compatibilità con le normative vigenti  sulla tutela dell’ambiente.

Secondo i dati del Ministero dell’Ambiente il settore tessile produrrebbe dal 2 al 4% di tutti i rifiuti industriali. I regolamenti sull’uso dei coloranti in campo tessile si limitano a considerare l’inquinamento delle acque di scarico delle industrie, le emissioni nell’atmosfera, i problemi di stoccaggio delle materie prime, ecc., senza tenere conto delle conseguenze che l’uso dei coloranti può provocare sulla salute umana sia degli operatori dell’industria che del consumatore finale.

Questa analisi, infine, non può prescindere da considerazioni relative agli aspetti economici e sociali che hanno coinvolto il settore tessile il quale è andato incontro negli ultimi decenni a un processo di destruttura-zione che ha visto il trasferimento sia delle tecnologie che degli stessi impianti di produzione verso i paesi dell’Est Europa o del Sud Est asiatico nei quali il costo del lavoro è più basso rispetto ai paesi occidentali.

Vanno considerati pertanto gli effetti ambientali e sociali connessi alla delocalizzazione delle attività più inquinanti (come quella del finissaggio e tintura) e Labour-intensive verso questi paesi, seguendo condizioni di minori costi collegate spesso a minori garanzie sociali e a normative ambientali meno stringenti.

I processi produttivi, le caratteristiche delle materie prime, le tecniche estrattive e le modalità di applicazione principalmente nel settore tessile

Le piante in grado di fornire coloranti sono numerose e molto diversificate sia per caratteristiche botaniche (appartengono infatti a famiglie botaniche diverse) sia per areale di origine ed esigenze climatiche, che per ciclo biologico e organo della pianta utilizzabile per la produzione di pigmenti (radice, foglie, infiore-scenze, semi ecc.). Molte regioni del centro Italia (Marche, Toscana, Umbria, Lazio, ecc.) vantano una lunga tradizione nella coltivazione di specie tintorie e nell’impiego di coloranti naturali nell’artigianato locale d’arte.

Fino alla fine del XIX secolo, tutti i colori erano di origine naturale e la gamma di tali sostanze coloranti e la loro distribuzione geografica era molto ampia. Nel 1856 , l’inglese Perkin sintetizzò, a partire dall’anilina, il primo colorante sintetico, la malveina. Nel 1880 fu ottenuto il primo brevetto di sintesi dell’indaco dal tedesco A. von Baeyer da anilina, formaldeide e acido cianidrico. Alla fine del 1800 i coloranti sintetici erano già talmente diffusi che avevano quasi completamente sostituito molti  coloranti naturali decretandone il loro graduale  abbandono.

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