Introduzione ai biolubrificanti
Estratto dalla relazione introduttiva del Progetto Activa promosso e cofinanziato da ARSIA Toscana e coordinato da Legambiente. A cura di Luca Lazzeri e Lorenzo D’Avino, CRA- ISCI Bologna.

I biolubrificanti possono essere utilizzati già oggi in molte applicazioni industriali (industria tessile, conciaria, cartaria, metallurgica, estrattiva e di escavazione, agroalimentare, farmaceutica e in agricoltura) come alternativa ecocompatibile ai lubrificanti derivati dal petrolio, generalmente senza richiedere particolari modifiche di processo o di impianto.

Le colture al momento particolarmente interessanti per la produzione dei biolubrificanti sembrano essere:

  • il girasole alto oleico il cui olio  può contenere fino al 90% in acido oleico, caratteristica che conferisce buone proprietà ingrassanti ed un’elevata resistenza all’ossidazione;
  • alcune Brassicacee (la famiglia del colza), quali in particolare il Crambe abyssinica e la Brassica carinata, piante particolarmente rustiche il cui olio può mostrare contenuti compresi tra il 45 ed il 55% in acido erucico, caratteristica che conferisce buone proprietà lubrificanti;
  • altre oleaginose minori tra le quali ad esempio Euphorbia, Lunaria e Limnanthes che presentano ancora alcuni problemi agronomici, ma la cui composizione acidica potrebbe potenzialmente permettere di esplorare di ulteriori possibilità tecnologiche ed applicative.

La disponibilità di queste due tipi di olio, unita alla loro miscibilità può consentire di produrre miscele e di modulare pertanto le caratteristiche tecnologiche del formulato in funzione dei singoli settori di utilizzo.

Da un punto di vista del territorio, le oleaginose trattandosi di colture da rinnovo, contribuiscono ad innalzare il tenore in sostanza organica nei suoli (restituendo al terreno oltre il 50% della biomassa prodotta) e sono pertanto da considerare fondamentali in qualsiasi piano organico di rotazione consentendo di interrompere le monosuccessioni a mais o grano e contribuendo al mantenimento della fertilità dei terreni. Altra caratteristica fondamentale di queste colture è la ridotta richiesta di input esterni non richiedendo trattamenti sistematici di difesa  e generalmente un ridotto consumo idrico.

Purtroppo però la coltivazione di oleaginose è in una fase di contrazione in Italia, e rappresenta un aspetto destinato ad aprire scenari agronomici ancora di non facile interpretazione. La nuova PAC, infatti, attraverso il disaccoppiamento che assegna all’agricoltore un premio non legato al tipo di coltivazione effettuata, non solo incentiva indirettamente le rotazioni e lo sviluppo di nuove colture, ma soprattutto responsabilizza l’agricoltura nella collocazione della produzione non solo nel settore alimentare ma anche in quello non alimentare.

Ma, nello stesso tempo, considerando le produzioni potenziali ed il valore di mercato della granella, la coltivazione delle oleaginose è notevolmente meno redditizia di quella dei cereali, in considerazione delle rese ad ettaro chiaramente inferiori. Non è semplice intuire come il mercato reagirà a queste problematiche, se vogliamo opposte, ma è possibile affermare che le scelte che si renderanno indispensabili in questo settore sembrano comunque in grado di determinare ripercussioni non solo economiche ma anche sociali sull’intero comparto agricolo definito da “commodity”.

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