Nonostante ciò, la penetrazione e diffusione nel mercato del biodiesel è ancora scarsa e la filiera di produzione presenta dei punti di debolezza a diversi livelli che impediscono una diffusione più ampia dell’utilizzazione dei biocarburanti o dei biocombustibili. Sulla filiera pesa in modo determinante il maggiore costo del biodisel rispetto al gasolio di origine fossile. Infatti, sebbene si possa contare sugli utili derivanti da due sottoprodotti come il panello proteico e la glicerina, il costo di produzione del biodiesel risulta superiore a quello del gasolio tradizionale (circa il 40-50%). A incidere sui costi e’ per circa il 75% la materia prima agricola, cui vanno aggiunti i costi logistici più elevati connessi alla tipologia e alle dimensioni delle imprese di produzione.

I problemi economici ed il modo come questi vengono percepiti dai protagonisti della filiera rappresentano un ulteriore vincolo allo sviluppo della filiera. Nel caso degli agricoltori, produttori della materia prima (semi oleosi), il prezzo di vendita della granella all’industria di trasformazione del biodiesel non è sufficiente a salvaguardare una adeguata redditività delle colture (sia in passato, considerando il regime di set-aside, sia oggi considerando l’aiuto di 45 euro/ha destinato alle colture da energia). Ciò ha indotto gli agricoltori ad estensivizzare in maniera non sempre razionale la coltivazione di queste specie con il risultato di ridurre drasticamente la produttività senza ridurre in misura più che proporzionale i costi; di fatto il costo per unità di prodotto non si è ridotto ed è spesso risultato dello stesso livello del prezzo di vendita. Si è quindi assistito al progressivo abbandono a livello nazionale delle colture “no-food” coltivate su set-aside (da circa 62.500 ha nel 1994 a circa 4.000 nel 2004) e quindi alla riduzione dell’offerta di prodotto nazionale.

Dall’altra parte, i trasformatori, produttori del metilestere, lamentano scarsità di prodotto nazionale (potenzialmente preferibile visti i costi di trasporto della granella o direttamente dell’olio di colza e/o girasole dall’estero), prezzi della materia prima superiori a quelli medi del mercato mondiale e scarsa stabilità politica (e quindi la difficoltà di operare investimenti e scelte di medio-lungo periodo). Più volte l’industria ha provato ad instaurare con gli agricoltori un rapporto di fiducia offrendo loro contratti a prezzo definito ma senza fortuna ad indicare la scarsa capacità di coordinamento nazionale e locale all’interno della filiera in grado di coinvolgere, oltre al Governo e alle Regioni, tutti gli attori della filiera, dal mondo agricolo, alle industrie ai distributori che si concretizza in una cronica mancanza di condivisione delle problematiche della filiera e nella scarsa partecipazione a tavoli di coordinamento interprofessionali.

Un altro limite allo sviluppo della filiera dei biocarburanti è rappresentato dal regime di defiscalizzazione del biodiesel; questo prodotto, infatti, anche cercando di ridurre al massimo i costi di produzione, non è in grado di reggere la concorrenza del gasolio tradizionale derivato dal petrolio, ancora su prezzi relativamente “bassi”. I governi di alcune nazioni europee hanno quindi ritenuto opportuno incentivare la produzione di questi prodotti rinnovabili rinunciando all’accisa applicata normalmente su tutti i prodotti petroliferi. Ai prezzi attuali del gasolio, quello del biodiesel defiscalizzato risulta sufficientemente competitivo. La quantità di biodiesel in regime di defiscalizzazione, secondo la legge Finanziaria 2005, si dovrà ridurre da 300.000 a 200.000 t per i prossimi sei anni (2005-2010); allo stesso tempo con decreto n.96 del 2004 il governo ha stanziato 73 milioni di euro per la produzione di bioetanolo da utilizzare tal quale (4,5% dello stanziamento), per la produzione di Etbe (85,5%) e di additivi e riformulati (10%) .

Nei prossimi anni, oltre alla riduzione della quantità di biodiesel defiscalizzato, un ulteriore vincolo allo sviluppo della filiera dei biocarburanti potrebbe derivare dalla scelta del nostro governo di non rispettare quanto suggerito dalla Direttiva 2003/30 (sostituzione entro il 2005 del 2% dei carburanti fossili con biocarburanti, e del 5.75% entro il 2010) come risulta dal D.Lgs. del 30 maggio 2005, n. 128 (G.U. 12 luglio 2005 n.160) che riduce tali percentuali a 1% entro 31 dicembre 2005 e 2,5% entro 31 dicembre 2010.

La mancanza di produzioni reperibili sul territorio nazionale e quindi gravate di minori costi di trasporto, viene spesso richiamata dal mondo dall’industria di trasformazione primaria e secondaria come un limite allo sviluppo della filiera. Evidentemente ci troviamo di fronte ad un circolo vizioso che rappresenta uno dei maggiori vincoli allo sviluppo della filiera a livello nazionale: non si produce a sufficienza a livello nazionale perché il prezzo pagato dall’industria non risulta soddisfacente e quindi non si attiva neppure la domanda interna perché l’industria trova più convenite rivolgersi al mercato mondiale. Evidentemente l’attuale meccanismo, che prevede tra l’altro l’importazione di buona parte del fabbisogno di olio vegetale, tende a penalizzare le prime fasi della filiera, quella agricola che di fatto risulta esclusa dalla filiera perché, secondo l’industria di trasformazione, incapace di fornire un prodotto nazionale a prezzi simili a quelli internazionali in maniera costante nel tempo, e quella di prima trasformazione (estrazione dell’olio). Escludendo la fase agricola però la filiera non può esprimere al meglio le proprie potenzialità in termini di riduzione dell’impatto ambientale (il trasporto dei semi oleosi, o dell’olio da essi estratto, dall’estero verso l’Italia, ha un costo energetico ed un impatto ambientale superiore a quello richiesto per trasferire a livello nazionale i semi oleosi dalle nostre aziende agricole ai centri di stoccaggio, triturazione e transesterificazione) e in termini di benefici per gli agroecosistemi (differenziazione delle colture agrarie, conservazione e protezione del territorio agricolo, ecc.).

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